Qualcuno che ti aiuti, Detachment (Il Film)

Per l’ennesima volta il Cinema viene in soccorso della Letteratura. Due linguaggi diversi, ma ugualmente potenti ed universali. Il primo più diretto e immediato tenta sempre di aprire un varco per raggiungere l’immensa dimensione dell’altro.

La figura dell’insegnante appassionato, che cerca di trovare le parole giuste per avvicinarsi ai suoi studenti, quelle che le darebbero l’accesso a quel mondo ermetico e così tormentato dell’adolescenza. Impossibile non confrontarlo con “L’attimo fuggente”. Due film che mettono al centro i ragazzi, il loro mondo, i loro sogni, le loro paure, le loro speranze, davanti a una società fredda, indifferente, chiusa e crudele.

Gli anni sono passati, ma la difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo non è cambiata. Quella che ci fa vedere “Detachment” è la storia dolorosa dei nostri tempi. Ci troviamo davanti allo specchio che ci mostra il fuori e il dentro di noi, con l’intento di indurci a riflettere su come siamo ridotti. Il regista lo fa in termini forti e immagini dure, rappresentando la realtà per com’è, nuda e cruda, grazie anche alle riprese che assomigliano più a un documentario che a un film.

“Bisognerebbe avere dei requisiti,

un curriculum serio e un manuale per fare i genitori,

e seguirne costantemente le istruzioni”.

Un’interpretazione magistrale, profonda ed emozionante, quella di Adrien Brody, capace di bucare lo schermo ed arrivare dritto a noi come una ventata d’aria fresca. Nel ruolo di Prof. Barthes, insegnante supplente di letteratura in un liceo di periferia, attraverso il dramma della sua vita, pone l’accento su tematiche importanti e forti come l’abuso e il trauma infantile, la genitorialità, la maturazione, l’amore, l’adolescenza, la crisi della scuola, la depressione e il suicidio giovanile, la prostituzione minorile, le malattie sessualmente trasmissibili. Problematiche profonde e sanguinanti della nostra società, delle quali spesso per omertà non si ha il coraggio di parlarne.

Lui non ha risposte certe e rassicuranti per i suoi ragazzi. L’unico modo che conosce per non diventare schiavi delle idee malate che da tutte le parti ci riversano ogni giorno, è quello di rendersi liberi attraverso la lettura.

“L’unico modo per sopravvivere è poter

preservare la nostra mente”.

Ci fa capire come sia difficile essere un insegnante oggi, quando ci si sente schiacciati dal peso della responsabilità che la famiglia e la società attribuisce a questa figura. A come si è soli a dover guidare e incoraggiare i ragazzi che si stanno per affacciarsi alla vita, non con entusiasmo ed ottimismo, bensì con il sentimento che più contraddistingue la loro età, la rabbia.

“Non basta avere qualcuno che ti insegni,

ci vuole qualcuno che ti aiuti!”

Il film si apre con una citazione di Albert Camus e si chiude con la lettura di un brano del racconto “La caduta della casa degli Usher”, di Edgar Allan Poe, come se si cercasse di trattenere in un abbraccio la vita che si dibatte a squarciagola sotto quel peso che ci schiaccia il petto.

Chi sa se ancora una volta la Letteratura riuscirà a salvarci dal caos in cui viviamo?

Quando i social diventano anti-social

 Cari lettori spero possiate apprezzare questo articolo nonostante non sia inerente agli argomenti che tratto nel mio blog. Si tratta di una mia riflessione riguarda il mondo dei social network, che ho voluto condividere poiché penso che in qualche misura ci riguarda tutti.  

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Oggi non essere presente sui social è un po come se non esistesi. Da quando esistono sentiamo tutti un grande bisogno di essere sempre collegati con il “mondo”. Ognuno ha le proprie reti preferite. In questo articolo prenderò come riferimento “Facebook”, il re dei social.

Personalmente la uso regolarmente, anche se in maniera moderata. Cosa significa? Cerco di non passare troppo tempo, a selezionare gli argomenti da seguire e a non sentirne la mancanza quando non si può avere accesso alla rete. Anche se ammetto che bisogna lavorarci su per tenere un equilibrio e a non perdersi troppo quando ci si collega ai social.

Detto ciò, torniamo a parlare dell’argomento che mi ha spinto a scrivere queste righe.

Come ha influenzato Facebook la nostra vita sociale? Ai suoi inizi l’idea di potersi connettere con vecchi amici e conoscenti lontani appariva entusiasmante e perché no prometteva di riallacciare dei rapporti sociali. Ed è stato cosi finché il fuoco della curiosità iniziale non si spegnesse. Senza rendersi conto questo social è entrato a far parte nella nostra esistenza in modo talmente prorompente da farci vivere delle realtà parallele tra noi e gli altri. Instaurare dei rapporti di amicizia o sociali come nella vita reale ci siamo resi conto che è impossibile. Ognuno di noi sta creando e vivendo delle realtà virtuali dai tratti sconosciuti, ma esaltanti. Non saprei dire se i social hanno modificato i nostri tratti comportamentali oppure gli hanno evidenziati.

Il primo motivo per cui ci colleghiamo a Facebook è per curiosare ed il secondo è per apparire. Due motivi che di sociale non hanno niente, anzi producono l’isolamento e sviluppano l’egoismo. E’ da cui che nasce il campanello d’allarme dell’effetto anti-sociale che produce il social. La comunicazione, la nostra primaria necessità come esseri sociali, in questa rete è quasi inesistente. Quelli di Facebook l’hanno capito e per venirci in aiuto e toglierci ogni parola dalla bocca hanno inventato il tasto “like”, che vuoi o non vuoi, per sentirti social, sei obbligato a cliccare. Amici lontani e vicini ci rendono partecipi dei momenti più importanti della loro vita. C’è un grande coinvolgimento nella rete, ma quando per caso ci incontriamo nella realtà quasi facciamo fatica a salutarci. Non riuscirò mai a capire..!

Nel caso di uso eccessivo o di dipendenza, Facebook ha creato solitudine e distacco non solo nei rapporti interpersonali della vita sociale, ma anche nell’ambito familiare. Si tende a trascurare il proprio partner, i figli o altri familiari perdendo del tempo prezioso nella rete.

Nei casi più gravi, dovuti all’alterazione della percezione della realtà e ad una forte dipendenza dal social, si può arrivare fino alla depressione. E secondo degli studi su questo fenomeno non sono pochi i casi riscontrati. Questo per far capire l’altro lato dei social. Queste piattaforme che nascono per avvicinare, fare conoscere le persone, attraverso i loro strumenti di interazione (principalmente le foto e l’esibizionismo) hanno involontariamente in alcuni casi prodotto l’effetto contrario, quello anti-social, creando un senso di inferiorità, inadeguatezza e bassa autostima su alcuni utenti.

Ecco perché, ogni tanto bisogna staccare veramente la spina, e tornare ad assaporare la vita vera. A volte mi viene da pensare: “Se si potesse tornare indietro, sarebbe bello”!