DOSTOEVSKIJ: Incontrarti tra duecento anni

Opera a cura di Valentina Fortichiari

Caro Fëdor,

con immenso piacere e grande affetto ti dedico questa lettera, in tempi come i nostri in cui non si usa più farlo. Ma se in qualche modo ci sentiamo legati a te è solo grazie alla scrittura e alla sua forza di resistere e sopravvivere a tutto, persino al tempo che passa.

È stato il 2021, a duecento anni dalla tua nascita, ad avvicinarmi a te e a farmi riscoprire lo splendore e la forza della tua opera. A quanta ricchezza sono andata incontro! Negli anni avevo sentito tanto parlare di te, a scuola, in famiglia, tra la gente, avevo letto persino qualcosa, ma ero così lontana dall’essenza della tua opera e dalla grandezza del tuo genio. Perché sapere dell’esistenza di qualcosa o di qualcuno, non significa conoscerlo. La conoscenza è un viaggio, un percorso che richiede tempo e dedizione. Noi tutti sappiamo di esistere, di essere vivi, ma pochi possono dire di conoscersi davvero.

Mi fa strano e allo stesso tempo commuovere quando mi viene in mente un ricordo di tanto tempo fa, che mi ricongiunge a te.  Avevo tredici anni e spinta dalla mia nascente passione per la letteratura, con il consiglio di nessuno, sai qual è stato il primo libro che acquistai?! “L’idiota”.

Come dicevo però, il mio vero incontro con te è avvenuto di recente, in età adulta, quando ero pronta a percorrere tra le tue pagine i più profondi sentieri della vita, lasciandomi semplicemente guidare. Adesso l’unico desiderio che ho è di avere il tempo che mi serve per leggerti e fare tesoro dei tuoi insegnamenti. Perché la tua opera va assaporata lentamente, come un buon vino. E proprio come il vino, “invecchiando” non solo migliora, ma punta dritto all’eternità.

Sei riuscito con il tuo immenso amore per l’umanità e con la tua straordinaria abilità di muoverti nel sottosuolo delle nostre coscienze, a catturare e unire in uno spirito di fratellanza, non solo il tuo popolo, la tua amata Russia, ma il mondo intero, che continua a leggerti estasiato. Non a caso ti hanno battezzato come “il conoscitore di ogni cosa umana”.

Hai regalato a quell’arte ‘effimera’, spesso sottovalutata, e persino ignorata, ma così necessaria agli uomini, qual è la letteratura, monumenti colossali di rara bellezza. E quando penso in quali condizioni lo hai fatto, il cuore mi si riempie di ammirazione e gli occhi di lacrime. Tutti gli uomini bisogna che ti leggano, in particolare i giovani, che oggi mancano così tanto di veri maestri e figure d’ispirazione. Hai saputo lasciare un segno, cambiare il mondo e dare un senso più che profondo alla tua vita, in una stanza buia e fredda, inchinato sulla tua scrivania sotto la luce di una candela, mentre la tua penna ricamava instancabilmente infinite pagine di Letteratura. “Amare e credere in quello che sì fa”, è stato da sempre il tuo moto, e soprattutto non permettere a nessuno di dire che “ciò che fai non è utile per nessuno”. Perché solo finché l’uomo andrà alla ricerca dell’arte, della cultura e della bellezza esisterà ancora qualche speranza per la sua salvezza.

Come per ogni grande artista non si può scindere l’uomo dallo scrittore. Ho sentito dire che ogni scrittore può raccontare un’unica storia, in mille modi, ma una soltanto, la sua. E la storia della tua vita è una di quelle che vanno raccontate e mai dimenticate. Il destino ti ha messo alla prova, come ha fatto con pochi uomini. Dalla condanna capitale nel fiore dei tuoi anni, tramutata all’ultimo in lavori forzati in Siberia. Dagli attacchi di epilessia, che ti lasciavano stordito, pieno di ferite e spossato per giorni, alla tua dipendenza da gioco d’azzardo che ti accompagnò per tutta la vita. Ai tuoi continui esili alle porte di un Europa fredda e ostile, dove spesso ti sentivi come un’ombra.

Ecco, una vita come la tua si può definire con una sola frase, che non poteva essere formulata meglio di quanto ha fatto un altro grande scrittore, Stefan Sweig:

“Considerata dal punto di vista artistico la vita di Dostoevskij è una tragedia, considerata dal lato morale è una vittoria senza pari perché è un trionfo dell’uomo sul suo destino, una trasformazione dell’esistenza esterna per mezzo della magia interna”.

La tua vita offre tuttora innumerevoli metafore per ognuno di noi che affronta i suoi piccoli/grandi drammi quotidiani. Se tu ce l’hai fatto, possiamo farcela anche noi, anzi dobbiamo farcela. Perché come ci insegni, la vita deve trionfare sempre, sopra tutto e tutti.

La tua forza aveva radici profonde, che trovavano nutrimento nella tua fede e nella tua singolare spiritualità. Ecco perché ogni volta che la vita ti gettava negli abissi più profondi, la tua anima si innalzava verso l’infinito, alla ricerca di Dio. Quel Dio che ti ha tanto ‘affaticato’, ma che non hai mai smesso di amare e rincorrere, nella vita come nella tua opera. E anche su questo ci dai tanto da riflettere, offrendoci il tuo sguardo nuovo e fresco, che ha come l’unica meta, l’incontro con la verità.

Le persone che ti hanno ferito e segnato irrimediabilmente sono morte e sepolte da tempo. Mentre tu, tu sei più vivo che mai! E non oso immaginare quanta vita lunga avrai nei secoli a venire…

Scriverti questa lettera è stato un privilegio troppo grande. Ma ho preso coraggio pensando al tuo consiglio: “Siate sinceri e semplici, questo è l’essenziale”. Consiglio che porterò sempre con me ogni volta che mi troverò davanti a un foglio con la penna in mano.

Grazie infinitamente MAESTRO!

Adela

In giro per il Mondo attraverso la Letteratura

Corso online (per ragazzi 14-19 anni)

Video introduttivo


Struttura del corso

  • 5 Paesi da visitare
  • Per ogni paese studieremo 3 autori, a cui sarà dedicato un incontro con una delle sue opere più rappresentative
  • Durata dell’incontro 1h30, tariffa €23,00
  • Corso in piccoli gruppi (max 7 iscritti), tramite piattaforma Google Meet
  • Gli incontri si terranno ogni 3 settimane
  • I nomi degli autori e le opere verranno svelate gradualmente durante il corso.


ISCRIZIONE AL CORSO

  • Primo incontro conoscitivo e “Introduzione al corsogratuito. Durata 1h
*IL CORSO E' ATTIVABILE TUTTO L'ANNO

“Leggere mi salvò la vita, scrivere le diede un senso” (IT) ~ ~ ~ “Leximi më shpëtoi jetën, të shkruarit i dha një kuptim” (AL). Jordi Sierra i Fabra

“Mi chiamo Jordi Sierra i Fabra e sono scrittore. Scrivo da quando avevo otto anni e non mi fermerò di scrivere. Sono balbuziente. Non si nota? Beh, non è uno scherzo. Non potevo parlare. Fino all’età di otto, nove o quindici anni io non riuscivo a parlare. Continuo a essere un balbuziente. La cosa positiva è che mi sono rifatto, diventai un conduttore radiofonico. Ma diciamolo qui tra amici, di tanto in tanto balbetto ancora. Da bambino dovevo affrontare problemi maggiori. Eravamo poveri, la televisione in casa non c’era, giocare per strada era vietato, mi poteva investire una macchina. Stavo sempre in casa da solo, leggendo. Sono figlio unico, per di più. La lettura mi salvò la vita. Divoravo libri senza sosta. Mi resi conto, fortunatamente, che nello studio ero un asino totale, ma tutto quello che leggevo mi rimaneva nella pancia e nella testa. Lo assorbivo, lo assorbivo. Nel mio quartiere biblioteche non ce n’erano, nemmeno nella mi scuola. Così che dovevo andare ogni giorno dai miei vicini, mi davano del pane secco, dei giornali vecchi. Andavo in giro facendo lo straccivendolo, ogni sera mi davano due ‘reales‘ per il pane secco e i giornali venduti. C’era però nel mio quartiere una libreria di libri di seconda mano. Per me quel posto era un paradiso. Quando entravo lì volevo leggere tutti quei libri, tutti. Scrivendo non balbettavo. Questo era fantastico per un bambino di otto anni balbuziente. Ero un balbuziente di quelli che non potevano parlare, ossia mi bloccavo, smettevo di respirare davanti alla difficoltà di esprimermi. E così per me scrivere divenne la salvezza.

Mio papà mi vietò di scrivere. E io le dicevo: “Papà anche se è poco, guadagnerò qualcosa, non credi?” Volevo diventare uno scrittore, non ricco e famoso, che è un’altra storia. La misura dell’arte sta in quello che provi mentre la fai, e non in quello che ti pagano per farla. Non do colpa di niente a mio papà. Voleva il meglio per suo figlio. La scuola è stata il mio grande trauma e quella che mi fece decidere alla fine di considerare seriamente l’attività di scrivere. Ad esempio, un’insegnante di matematica di tanto in tanto diceva in classe: “Dai, ridiamo un po’. Sierra, alla lavagna!”

“Ridiamo un po’!” Ero il giullare della classe. Immaginate com’era la mia scuola… Ricordo un giorno che mi chiese: “Quanto fa due più due?” Perché questa operazione? Perché per un balbuziente le parole che iniziane con la C, P o T sono impronunciabili. Due più due fa quattro (in spagnolo cuatro’). E quel giorno dissi in classe: “Cua-cua-cua”. E l’insegnate di matematica disse: “Sembra un’anatra, vero?” Attenzione! Era un bambino. Nell’ora di spagnolo, l’insegnante disse in classe: “Dai, composizione scritta. Tema libero”. Scrissi la storia di un marziano verde e peloso, venuto da Marte sulla Terra e che si era perso. Ho scritto la storia di E.T. (il film) a dodici anni. Me la copiò Steven Spielberg, quel “malandrino”! A me assegnarono uno ‘zero’. Con uno ‘zero’ mio padre mi uccideva. Ho dovuto dirle: “Maestra, perché uno zero?” In ortografia: non c’erano errori, leggevo tutti i giorni. Non tre pagine, bensì sei fogli. Ero già un tipo… Ero incontenibile. Il vocabolario era elevato. Leggevo a casa il dizionario per cecare parole nuove. Ditemi se non ero un bambino strano. Era uno ‘zero’ ingiusto. E gli dissi: “Maestra, voglio essere uno scrittore.” Mi guardò e mi disse davanti a tutta la classe: “Tu scrittore, Sierra?” – “Ascolta, figlio mio, sarà meglio che inizi a cercare subito un lavoro perché sei uno inutile e lo sarai per tutta la tua vita”. – “Non sognare”. E’ la peggior cosa che si può dire a un bambino di dodici anni. Mio padre mi proibiva di scrivere e secondo la scuola ero un essere inferiore. Attenzione! A scuola, inoltre, subì percosse perché balbuziente. Vi dirò qualcosa, quello che colpisce è un codardo spaventato a morte che ha tanta paura della vita e che usa la violenza per molestare gli altri. Così ho preso un sacco di colpi e li ho incassati. E quelli mi hanno reso più forte. Non sono mai riusciti ad abbattermi.

Quel giorno, piangendo in casa, ho scoperto che c’era una persona che credeva in me. Sapete chi? Io. Mi bastava. Vi dirò una cosa, e mi alzo in piedi: Vostro padre è vostro padre. Mi rivolgo a voi giovani. Vostra madre vi ha fatto nascere. Benissimo. I professori, che non sono stupidi, sanno più o meno come siete fatti e che numero di scarpa portate. Benissimo. Ma attenzione, la cosa più importante la sapete solo voi. E qual è la cosa più importante? Quello che ognuno tiene nella pancia, nella testa e nel cuore. Questa è la vostra vita, sono i vostri sogni. Se sei sicuro di qualcosa, fallo! Se credi in qualcosa, perseguila. Non fattevi influenzare. Avete solo una vita, ed è breve, vola in un attimo. Fatte ciò che amate. Sono stufo di sentire i vostri genitori dire ai giovani: “Figlio mio, studia qualcosa che abbia uno sbocco”. Mica sei un’autostrada? Scegliete sentieri tortuosi, andate dove volete, siate felici. Il denaro arriverà dopo.

Viviamo in un mondo materialista, egoista, nel quale fino ad oggi non esiste nessun lavoro che ci garantisca la vita per almeno vent’anni. Cosa vi garantirà la vita? Tenere la mente aperta, il cuore aperto, avere uno stomaco di ferro e leggere. Assorbire la vita come spugne.

Jordi Sierra i Fabra è uno scrittore contemporaneo spagnolo di una grande forza creatrice e di un entusiasmo contagioso. E' nato a Barcellona nel 1947 dove vive e svolge principalmente la sua attività di artista. Uno degli autori più prolifici del suo tempo, conta più di cento titoli di letteratura per l'infanzia e per i ragazzi, che gli hanno valso numerosi premi. 
Tra le sue opere più belle, tradotte in italiano, potete leggere i romanzi "Campi di fragole" (1997), "Kafka e la bambola viaggiatrice" (2006), "La favolosa leggenda di Re Artù" (2008), il saggio "Bob Dylan: 99 motivi per riscoprirlo assieme a tuo figlio" (2017), .

“Mamma, vorrei essere libero”

Cari lettori, oggi con grande piacere ed emozione lascerò “la parola” a mio figlio, Antonio, di otto anni e mezzo. Credo che il suo messaggio può essere utile a tanti in quanto rappresenta la voce dei bambini, e a noi adulti può indurci a riflettere.

In un momento di nervosismo durante i compiti per il lunedì, mi dice: “Mamma, dammi un quaderno che voglio scrivere.”

Questo è il racconto che ne è venuto fuori…

Quando mi ha chiesto di leggere questi suoi pensieri era tornato ad un tratto sereno ed era pronto a reimmergersi nello studio. Dopo aver letto il suo racconto gli ho sorriso e mi sono complimentata con lui. Mentre tenevo fra le mani il suo quaderno ho capito che quel gesto tanto semplice e spesso naturale, come la scrittura, lo aveva aiutato a tradurre in parole il suo stato d’animo. Lo aveva aiutato a capirsi, a esprimersi e prendendo una certa distanza, a vedere più chiaro la situazione che l’aveva irritato. A volte basta davvero poco!

Qualcuno che ti aiuti, Detachment (Il Film)

Per l’ennesima volta il Cinema viene in soccorso della Letteratura. Due linguaggi diversi, ma ugualmente potenti ed universali. Il primo più diretto e immediato tenta sempre di aprire un varco per raggiungere l’immensa dimensione dell’altro.

La figura dell’insegnante appassionato, che cerca di trovare le parole giuste per avvicinarsi ai suoi studenti, quelle che le darebbero l’accesso a quel mondo ermetico e così tormentato dell’adolescenza. Impossibile non confrontarlo con “L’attimo fuggente”. Due film che mettono al centro i ragazzi, il loro mondo, i loro sogni, le loro paure, le loro speranze, davanti a una società fredda, indifferente, chiusa e crudele.

Gli anni sono passati, ma la difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo non è cambiata. Quella che ci fa vedere “Detachment” è la storia dolorosa dei nostri tempi. Ci troviamo davanti allo specchio che ci mostra il fuori e il dentro di noi, con l’intento di indurci a riflettere su come siamo ridotti. Il regista lo fa in termini forti e immagini dure, rappresentando la realtà per com’è, nuda e cruda, grazie anche alle riprese che assomigliano più a un documentario che a un film.

“Bisognerebbe avere dei requisiti,

un curriculum serio e un manuale per fare i genitori,

e seguirne costantemente le istruzioni”.

Un’interpretazione magistrale, profonda ed emozionante, quella di Adrien Brody, capace di bucare lo schermo ed arrivare dritto a noi come una ventata d’aria fresca. Nel ruolo di Prof. Barthes, insegnante supplente di letteratura in un liceo di periferia, attraverso il dramma della sua vita, pone l’accento su tematiche importanti e forti come l’abuso e il trauma infantile, la genitorialità, la maturazione, l’amore, l’adolescenza, la crisi della scuola, la depressione e il suicidio giovanile, la prostituzione minorile, le malattie sessualmente trasmissibili. Problematiche profonde e sanguinanti della nostra società, delle quali spesso per omertà non si ha il coraggio di parlarne.

Lui non ha risposte certe e rassicuranti per i suoi ragazzi. L’unico modo che conosce per non diventare schiavi delle idee malate che da tutte le parti ci riversano ogni giorno, è quello di rendersi liberi attraverso la lettura.

“L’unico modo per sopravvivere è poter

preservare la nostra mente”.

Ci fa capire come sia difficile essere un insegnante oggi, quando ci si sente schiacciati dal peso della responsabilità che la famiglia e la società attribuisce a questa figura. A come si è soli a dover guidare e incoraggiare i ragazzi che si stanno per affacciarsi alla vita, non con entusiasmo ed ottimismo, bensì con il sentimento che più contraddistingue la loro età, la rabbia.

“Non basta avere qualcuno che ti insegni,

ci vuole qualcuno che ti aiuti!”

Il film si apre con una citazione di Albert Camus e si chiude con la lettura di un brano del racconto “La caduta della casa degli Usher”, di Edgar Allan Poe, come se si cercasse di trattenere in un abbraccio la vita che si dibatte a squarciagola sotto quel peso che ci schiaccia il petto.

Chi sa se ancora una volta la Letteratura riuscirà a salvarci dal caos in cui viviamo?

Insegnare, che passione!

Da sempre ho sentito dentro di me la vocazione di insegnare, di trasmettere qualcosa di importante e di utile ai più giovani. Per molto tempo ho aspettato che fossero gli altri ad offrirmi la possibilità di entrare nel meraviglioso mondo dell’Insegnamento. Inconsapevolmente ho perso tanto tempo aspettando invano. Poi ho finalmente capito che se si vuole davvero una cosa nella vita, c’è un solo modo per ottenerla: rimboccarsi le maniche e impegnarsi ogni giorno. E’ questo che con tanta determinazione ho fatto e che continuo a fare, perché un buon insegnante non smette mai di imparare.

Attraverso i libri e lo studio ho ritrovato la mia passione più grande, quella che avevo scoperto da bambina, la Letteratura, ed è stato bellissimo rincontrarsi. Gradualmente è stata lei ad indicarmi la strada. E così con ancora più sete ed entusiasmo mi sono immersa tra le sue pagine e per la prima volta nella vita ho capito che quello che più amo fare è parlare di Letteratura. Più di tutto vorrei avvicinare i giovani, gli adolescenti, a questo magico mondo, per fargli scoprire l’immensa ricchezza artistica e umana, che i grandi scrittori ci hanno lasciato tra le pagine delle loro opere.

Questo breve articolo semplicemente per dirvi che ‘esisto’ e che sono qui per chiunque avesse bisogno e soprattutto voglia di intraprendere questo viaggio bellissimo alla scoperta della Letteratura.

Émilie du Châtelet e il suo “Discorso sulla felicità”

Nasciamo per essere felici. Durante il percorso, complichiamo però così tanto la nostra vita, che ad un certo punto ci mettiamo alla disperata ricerca della tanto desiderata Felicità. Molto si è scritto a proposito. Le grandi menti hanno condiviso con le future generazioni le loro esperienze e i loro insegnamenti. Questo che condivido con voi è il prezioso contributo che ha dato Émilie du Châtelet (1706-1749), attraverso le pagine del suo Discorso sulla felicità, considerato tra i saggi più interessanti ed autentici scritti nel XVIII secolo che meritano di essere letti ancora oggi.

La marchesa du Châtelet considerata uno dei più grandi ingegni femminili del XVIII secolo, studia con dedizione matematica e fisica, in un tempo in cui le donne non avevano facile accesso al mondo scientifico. Le sue origine aristocratiche gli permettono, oltre che ad istruirsi sia nel campo scientifico che in quello umanistico (studiando lingue e filosofia), di frequentare ambienti e di entrare in contatto con i più importanti intellettuali francesi del suo tempo. All’età di trent’anni, proprio in questi circoli di illustri studiosi, fa l’incontro con l’uomo che segnerà profondamente la sua vita e il suo animo “tenero, sensibile, vivo e tenace che non sa né dissimulare né moderare le proprie passioni”, come lo definisce lei stessa. Così, nel 1936 lascia Parigi, il marito, i tre figli e gli amanti, per andare a vivere con colui che per i prossimi dieci anni avrebbe rappresentato per lei l’Amore, nientemeno che il grande filosofo, Voltaire. Ed è questo straordinario legame, o per meglio dire la sua dolorosa fine che ha spinto Mme du Châtelet a cercare di fare un bilancio del suo intenso vissuto, convinta di avere raggiunto, all’età di quasi quarant’anni, la maturità che gli avrebbe regalato la serenità d’animo e di conseguenza la felicità.

Secondo gli studiosi, il manoscritto ritrovato e pubblicato soltanto trent’anni dopo la morte della sua autrice, non fu scritto con l’intento di essere reso pubblico. Anche se leggendolo fa pensare che nel cuor suo la marchesa sperasse che le sue parole e i suoi saggi consigli raggiungessero più persone possibili. Come dicevo, è stata la passione più potente che conosciamo nella vita, “quella che mette la nostra felicità interamente alla dipendenza degli altri e forse la sola che possa farci desiderare di vivere e ci induce a ringraziare l’autore della natura, chiunque egli sia, per averci donato la vita”, ovvero l’Amore, che ha spinto Mme du Châtelet a mettersi a nudo, come donna e ad affidarci le sue più intime riflessioni sulla vita.

Émilie du Châtelet, è stata una donna straordinaria, che ha avuto il coraggio di essere se stessa, con i pro e i contro del suo carattere acceso, passionale, travolgente, e di una mente brillante in grado di vedere e sentire cose concesse ai pochi.

E’ rimasta legata fino alla fine ai sui valori e ideali, come andare contro i pregiudizi e scegliere sempre e comunque di vivere appieno le passioni e coltivare le illusioni, che infondo sono la base della nostra felicità. Credeva tanto nella forza della ragione, che a una certa età, dovrebbe guidare la nostra vita, per regalarci a tutti costi la felicità.

Per l’ennesima volta nella vita si è affidata alle illusioni, ignara che il destino aveva in serbo per lei un’altra prova, un’altra devastante passione amorosa, che questa volta le sarà fatale. Così all’età di quarantadue anni si trova fra le braccia di Saint-Lambert, un giovane ufficiale di dieci anni più giovane di lei. Lo legherà a lui un doloroso sentimento che sa tanto di un amore adolescenziale e che lo porterà a compiere un’altra follia, quella di rimanere incinta in un età in cui non dovrebbe. Quello che durante tutta la gravidanza è stato un presentimento, purtroppo si verifica poco dopo il parto. Il 10 settembre 1749 Mme du Châtelet, chiude gli occhi per sempre, pochi giorni dopo avere dato alla luce una bambina, che a sua volta non sopravvivrà. Al suo capezzale suo marito, il compagno Voltaire e l’amante Saint-Lambert, gli uomini che aveva tanto amato, ma che non sono riusciti a salvarla.

Cerchiamo di star bene in salute, di non avere pregiudizi, di provare delle passioni e di ricavarne felicità, di sostituire gli ardori con le inclinazioni, di conservare le nostre illusioni, di essere virtuosi e di non pentirci mai, di allontanare le idee tristi e di non permettere mai al nostro cuore di conservare una sola fiammella di piacere per qualcuno il cui piacere è diminuito e che ha smesso di amarci. Dovremo pur lasciarlo, un giorno, questo amore, anche se non saremo già vecchi, e questo giorno sia quello in cui esso cessa di renderci felici. Coltiviamo seriamente l’amore per lo studio, amore che fa dipendere la nostra felicità solo da noi stessi. Preserviamoci dall’ambizione ma sforziamoci di sapere bene quello che vogliamo essere: decidiamo la strada da seguire nella nostra vita, e cerchiamo di cospargerla di fiori.

Vorrei essere come te

Una mia poesia

Ti osservo mentre dormi beata 
mia dolce gattina,
nel tuo sonno sereno privo di pensieri, 
e per un momento vorrei essere come te...

Ma vorrei essere come te
soprattutto quando sei sveglia,
quando sei allegra e giocosa e ti diverti 
con la prima cosa che ti capita fra le zampe.

Quando ti voglio abbracciare,
ma sfuggi perché in quel momento non ti va,
ed io a malincuore imparo ad accettare
il tuo spirito libero.

Perché non c'è cosa che ami di più
della tua libertà,
e lo eserciti con così tanta classe
che è impossibile non affezionarsi.

Hai il tuo bel caratterino
e ti fai rispettare,
se non si vuole incorrere
in qualche spiacevole graffiata.

Mi piace come te ne vai dritta
anche quando ti si chiama per nome,
quando sui tuoi cuscinetti morbidi,
ti rifuggi nell'altra stanza in cerca di privacy.

Mi piace quando spunti come per magia
con il tuo bel musino,
quando ti chiamo e non ti trovo,
con quello sguardo tenero che vale più di mille parole.

Amo il tuo modo di essere grata
tutte le volte che ricevi il cibo,
e la corsetta buffa che fai
ogni volta che nomino "pappa".

Amo lo sguardo che hai
simile a un maestro saggio,
quando ti raccogli silenziosamente
all'angolo del divano.

Ma più di tutto
amo il modo in cui esprimi
il tuo affetto incondizionato.

Quando la sera ti appoggi sulla coperta
vicino a me, mentre leggo.
Quello è il tuo posto preferito,
da dove per un po' non vuoi fuggire.

E' bello vivere spensierati e liberi
come te gattina mia.
Ma, ahimè, a noi umani, 
almeno per ora, tutto ciò non ci è concesso.

Adela  Allajbej




 

Un nuovo inizio

“Che sapore ha per me la felicità? Quello di una tisana calda, leggendo un buon libro, in compagnia del mio gatto”.

Siamo arrivati alla fine anche di questo viaggio, che come ogni viaggio bello o brutto che sia prima o poi finisce. E’ tempo di salutarci caro 2020. Uh, quante emozioni ci hai fatto vivere! Ci hai stravolto la vita in un batter d’occhio e altrettanto velocemente hai messo l’intera umanità, per la prima volta nell’era moderna, sulla stessa barca. Quanto è stato difficile affrontarti sotto diversi punti di vista, ne siamo tutti testimoni. Vorrei invece fare il punto su cosa realmente ci hai insegnato, partendo dalla mia esperienza personale.

Si dice che non può piovere per sempre. In questi giorni è arrivata anche la neve, che per chi ama vedere il lato positivo delle cose può essere considerata un dono, dato che non succedeva da anni sotto le Feste. In ogni caso, grazie alle giornate più buie che riusciamo ad apprezzare davvero una bellissima giornata di sole. Così è stato questo 2020, come un lungo inverno, simile a quelli descritti nei racconti per bambini, che mettono a dura prova la resilienza dell’uomo. Sicuramente ognuno lo ha vissuto a modo suo, affrontando le proprie sfide e difficoltà, anche se questo anno diverso ha offerto a tutti una grande opportunità. Ci ha permesso di rallentare e in qualche modo di resettare la nostra vita. Abbiamo dovuto fermarsi per salvaguardare la cosa più preziosa che abbiamo e che spesso diamo per scontato, la nostra Salute. E mentre ci siamo fermati, all’interno delle nostre case, abbiamo fatto due incontri importanti e forse inaspettati per il nostro modo di vivere, quello con il Tempo e con noi stessi. All’improvviso ogni fretta è sparita e le nostre giornate si susseguivano lentamente in attesa di essere riempite, con attimi di vita, che da adesso doveva avere un sapore più autentico. Avevamo a disposizione tutto il tempo necessario, per fare quello che fino a quel momento avevamo rimandato. Ci siamo resi conto ingenuamente che se ci fermiamo, il mondo e la vita vanno avanti lo stesso. Anzi, con enorme beneficio per il pianeta che si è potuto riposare e rigenerarsi per un po’.

E poi l’incontro con noi stessi, o per lo meno è quello che è successo a me. Non dovrebbe essere sempre vero, ma dalla vita ho imparato che per stare bene e ritrovare il proprio equilibrio, devi prima stare male. Solo quando si ha il coraggio di guardarsi dentro e riconoscere le proprie debolezze e le proprie paure, si è pronti ad imbarcarsi in quel viaggio che ti porterà alla tua essenza. Una volta realizzato quello che stava succedendo intorno a noi e accettata la nuova realtà, mi sono accorta che avevo bisogno di prendermi cura di me stessa. Da sempre ci insegnano a prendersi cura degli altri, dimenticando di dirci che per prima dobbiamo cominciare da noi. Perché non si può stare bene con nessuno, se non si sta bene con se stessi.

Ho iniziato a leggere. La lettura è diventato il mio rifugio sicuro. Ho letto tanto in questo 2020, come non avevo fatto in tutta la mia vita. Ho riscoperto la piacevolissima e preziosissima compagnia dei libri. Ho imparato tante cose nuove e mi si sono aperte nuove finestre sul mondo. Ho sentito il bisogno di cambiare, il desiderio di migliorare e tanta voglia di imparare. Mi sono resa conto che più tempo dedichiamo alle cose che amiamo, che ci fanno stare bene e più positivo diventa il nostro sguardo sul mondo. Amarsi e riscoprire le nostre potenzialità ci rende forti e ci permette di affrontare la vita con coraggio ed entusiasmo.

Io mi auguro che anche voi abbiate iniziato in qualche modo a fare il viaggio verso voi stessi, quel viaggio che racchiude la speranza e la consapevolezza che un mondo migliore sia ancora possibile.