“Leggere mi salvò la vita, scrivere le diede un senso” (IT) ~ ~ ~ “Leximi më shpëtoi jetën, të shkruarit i dha një kuptim” (AL). Jordi Sierra i Fabra

“Mi chiamo Jordi Sierra i Fabra e sono scrittore. Scrivo da quando avevo otto anni e non mi fermerò di scrivere. Sono balbuziente. Non si nota? Beh, non è uno scherzo. Non potevo parlare. Fino all’età di otto, nove o quindici anni io non riuscivo a parlare. Continuo a essere un balbuziente. La cosa positiva è che mi sono rifatto, diventai un conduttore radiofonico. Ma diciamolo qui tra amici, di tanto in tanto balbetto ancora. Da bambino dovevo affrontare problemi maggiori. Eravamo poveri, la televisione in casa non c’era, giocare per strada era vietato, mi poteva investire una macchina. Stavo sempre in casa da solo, leggendo. Sono figlio unico, per di più. La lettura mi salvò la vita. Divoravo libri senza sosta. Mi resi conto, fortunatamente, che nello studio ero un asino totale, ma tutto quello che leggevo mi rimaneva nella pancia e nella testa. Lo assorbivo, lo assorbivo. Nel mio quartiere biblioteche non ce n’erano, nemmeno nella mi scuola. Così che dovevo andare ogni giorno dai miei vicini, mi davano del pane secco, dei giornali vecchi. Andavo in giro facendo lo straccivendolo, ogni sera mi davano due ‘reales‘ per il pane secco e i giornali venduti. C’era però nel mio quartiere una libreria di libri di seconda mano. Per me quel posto era un paradiso. Quando entravo lì volevo leggere tutti quei libri, tutti. Scrivendo non balbettavo. Questo era fantastico per un bambino di otto anni balbuziente. Ero un balbuziente di quelli che non potevano parlare, ossia mi bloccavo, smettevo di respirare davanti alla difficoltà di esprimermi. E così per me scrivere divenne la salvezza.

Mio papà mi vietò di scrivere. E io le dicevo: “Papà anche se è poco, guadagnerò qualcosa, non credi?” Volevo diventare uno scrittore, non ricco e famoso, che è un’altra storia. La misura dell’arte sta in quello che provi mentre la fai, e non in quello che ti pagano per farla. Non do colpa di niente a mio papà. Voleva il meglio per suo figlio. La scuola è stata il mio grande trauma e quella che mi fece decidere alla fine di considerare seriamente l’attività di scrivere. Ad esempio, un’insegnante di matematica di tanto in tanto diceva in classe: “Dai, ridiamo un po’. Sierra, alla lavagna!”

“Ridiamo un po’!” Ero il giullare della classe. Immaginate com’era la mia scuola… Ricordo un giorno che mi chiese: “Quanto fa due più due?” Perché questa operazione? Perché per un balbuziente le parole che iniziane con la C, P o T sono impronunciabili. Due più due fa quattro (in spagnolo cuatro’). E quel giorno dissi in classe: “Cua-cua-cua”. E l’insegnate di matematica disse: “Sembra un’anatra, vero?” Attenzione! Era un bambino. Nell’ora di spagnolo, l’insegnante disse in classe: “Dai, composizione scritta. Tema libero”. Scrissi la storia di un marziano verde e peloso, venuto da Marte sulla Terra e che si era perso. Ho scritto la storia di E.T. (il film) a dodici anni. Me la copiò Steven Spielberg, quel “malandrino”! A me assegnarono uno ‘zero’. Con uno ‘zero’ mio padre mi uccideva. Ho dovuto dirle: “Maestra, perché uno zero?” In ortografia: non c’erano errori, leggevo tutti i giorni. Non tre pagine, bensì sei fogli. Ero già un tipo… Ero incontenibile. Il vocabolario era elevato. Leggevo a casa il dizionario per cecare parole nuove. Ditemi se non ero un bambino strano. Era uno ‘zero’ ingiusto. E gli dissi: “Maestra, voglio essere uno scrittore.” Mi guardò e mi disse davanti a tutta la classe: “Tu scrittore, Sierra?” – “Ascolta, figlio mio, sarà meglio che inizi a cercare subito un lavoro perché sei uno inutile e lo sarai per tutta la tua vita”. – “Non sognare”. E’ la peggior cosa che si può dire a un bambino di dodici anni. Mio padre mi proibiva di scrivere e secondo la scuola ero un essere inferiore. Attenzione! A scuola, inoltre, subì percosse perché balbuziente. Vi dirò qualcosa, quello che colpisce è un codardo spaventato a morte che ha tanta paura della vita e che usa la violenza per molestare gli altri. Così ho preso un sacco di colpi e li ho incassati. E quelli mi hanno reso più forte. Non sono mai riusciti ad abbattermi.

Quel giorno, piangendo in casa, ho scoperto che c’era una persona che credeva in me. Sapete chi? Io. Mi bastava. Vi dirò una cosa, e mi alzo in piedi: Vostro padre è vostro padre. Mi rivolgo a voi giovani. Vostra madre vi ha fatto nascere. Benissimo. I professori, che non sono stupidi, sanno più o meno come siete fatti e che numero di scarpa portate. Benissimo. Ma attenzione, la cosa più importante la sapete solo voi. E qual è la cosa più importante? Quello che ognuno tiene nella pancia, nella testa e nel cuore. Questa è la vostra vita, sono i vostri sogni. Se sei sicuro di qualcosa, fallo! Se credi in qualcosa, perseguila. Non fattevi influenzare. Avete solo una vita, ed è breve, vola in un attimo. Fatte ciò che amate. Sono stufo di sentire i vostri genitori dire ai giovani: “Figlio mio, studia qualcosa che abbia uno sbocco”. Mica sei un’autostrada? Scegliete sentieri tortuosi, andate dove volete, siate felici. Il denaro arriverà dopo.

Viviamo in un mondo materialista, egoista, nel quale fino ad oggi non esiste nessun lavoro che ci garantisca la vita per almeno vent’anni. Cosa vi garantirà la vita? Tenere la mente aperta, il cuore aperto, avere uno stomaco di ferro e leggere. Assorbire la vita come spugne.

Jordi Sierra i Fabra è uno scrittore contemporaneo spagnolo di una grande forza creatrice e di un entusiasmo contagioso. E' nato a Barcellona nel 1947 dove vive e svolge principalmente la sua attività di artista. Uno degli autori più prolifici del suo tempo, conta più di cento titoli di letteratura per l'infanzia e per i ragazzi, che gli hanno valso numerosi premi. 
Tra le sue opere più belle, tradotte in italiano, potete leggere i romanzi "Campi di fragole" (1997), "Kafka e la bambola viaggiatrice" (2006), "La favolosa leggenda di Re Artù" (2008), il saggio "Bob Dylan: 99 motivi per riscoprirlo assieme a tuo figlio" (2017), .

DOSTOEVSKIJ: Incontrarti tra duecento anni

Opera a cura di Valentina Fortichiari

Caro Fëdor,

con immenso piacere e grande affetto ti dedico questa lettera, in tempi come i nostri in cui non si usa più farlo. Ma se in qualche modo ci sentiamo legati a te è solo grazie alla scrittura e alla sua forza di resistere e sopravvivere a tutto, persino al tempo che passa.

È stato il 2021, a duecento anni dalla tua nascita, ad avvicinarmi a te e a farmi riscoprire lo splendore e la forza della tua opera. A quanta ricchezza sono andata incontro! Negli anni avevo sentito tanto parlare di te, a scuola, in famiglia, tra la gente, avevo letto persino qualcosa, ma ero così lontana dall’essenza della tua opera e dalla grandezza del tuo genio. Perché sapere dell’esistenza di qualcosa o di qualcuno, non significa conoscerlo. La conoscenza è un viaggio, un percorso che richiede tempo e dedizione. Noi tutti sappiamo di esistere, di essere vivi, ma pochi possono dire di conoscersi davvero.

Mi fa strano e allo stesso tempo commuovere quando mi viene in mente un ricordo di tanto tempo fa, che mi ricongiunge a te.  Avevo tredici anni e spinta dalla mia nascente passione per la letteratura, con il consiglio di nessuno, sai qual è stato il primo libro che acquistai?! “L’idiota”.

Come dicevo però, il mio vero incontro con te è avvenuto di recente, in età adulta, quando ero pronta a percorrere tra le tue pagine i più profondi sentieri della vita, lasciandomi semplicemente guidare. Adesso l’unico desiderio che ho è di avere il tempo che mi serve per leggerti e fare tesoro dei tuoi insegnamenti. Perché la tua opera va assaporata lentamente, come un buon vino. E proprio come il vino, “invecchiando” non solo migliora, ma punta dritto all’eternità.

Sei riuscito con il tuo immenso amore per l’umanità e con la tua straordinaria abilità di muoverti nel sottosuolo delle nostre coscienze, a catturare e unire in uno spirito di fratellanza, non solo il tuo popolo, la tua amata Russia, ma il mondo intero, che continua a leggerti estasiato. Non a caso ti hanno battezzato come “il conoscitore di ogni cosa umana”.

Hai regalato a quell’arte ‘effimera’, spesso sottovalutata, e persino ignorata, ma così necessaria agli uomini, qual è la letteratura, monumenti colossali di rara bellezza. E quando penso in quali condizioni lo hai fatto, il cuore mi si riempie di ammirazione e gli occhi di lacrime. Tutti gli uomini bisogna che ti leggano, in particolare i giovani, che oggi mancano così tanto di veri maestri e figure d’ispirazione. Hai saputo lasciare un segno, cambiare il mondo e dare un senso più che profondo alla tua vita, in una stanza buia e fredda, inchinato sulla tua scrivania sotto la luce di una candela, mentre la tua penna ricamava instancabilmente infinite pagine di Letteratura. “Amare e credere in quello che sì fa”, è stato da sempre il tuo moto, e soprattutto non permettere a nessuno di dire che “ciò che fai non è utile per nessuno”. Perché solo finché l’uomo andrà alla ricerca dell’arte, della cultura e della bellezza esisterà ancora qualche speranza per la sua salvezza.

Come per ogni grande artista non si può scindere l’uomo dallo scrittore. Ho sentito dire che ogni scrittore può raccontare un’unica storia, in mille modi, ma una soltanto, la sua. E la storia della tua vita è una di quelle che vanno raccontate e mai dimenticate. Il destino ti ha messo alla prova, come ha fatto con pochi uomini. Dalla condanna capitale nel fiore dei tuoi anni, tramutata all’ultimo in lavori forzati in Siberia. Dagli attacchi di epilessia, che ti lasciavano stordito, pieno di ferite e spossato per giorni, alla tua dipendenza da gioco d’azzardo che ti accompagnò per tutta la vita. Ai tuoi continui esili alle porte di un Europa fredda e ostile, dove spesso ti sentivi come un’ombra.

Ecco, una vita come la tua si può definire con una sola frase, che non poteva essere formulata meglio di quanto ha fatto un altro grande scrittore, Stefan Sweig:

“Considerata dal punto di vista artistico la vita di Dostoevskij è una tragedia, considerata dal lato morale è una vittoria senza pari perché è un trionfo dell’uomo sul suo destino, una trasformazione dell’esistenza esterna per mezzo della magia interna”.

La tua vita offre tuttora innumerevoli metafore per ognuno di noi che affronta i suoi piccoli/grandi drammi quotidiani. Se tu ce l’hai fatto, possiamo farcela anche noi, anzi dobbiamo farcela. Perché come ci insegni, la vita deve trionfare sempre, sopra tutto e tutti.

La tua forza aveva radici profonde, che trovavano nutrimento nella tua fede e nella tua singolare spiritualità. Ecco perché ogni volta che la vita ti gettava negli abissi più profondi, la tua anima si innalzava verso l’infinito, alla ricerca di Dio. Quel Dio che ti ha tanto ‘affaticato’, ma che non hai mai smesso di amare e rincorrere, nella vita come nella tua opera. E anche su questo ci dai tanto da riflettere, offrendoci il tuo sguardo nuovo e fresco, che ha come l’unica meta, l’incontro con la verità.

Le persone che ti hanno ferito e segnato irrimediabilmente sono morte e sepolte da tempo. Mentre tu, tu sei più vivo che mai! E non oso immaginare quanta vita lunga avrai nei secoli a venire…

Scriverti questa lettera è stato un privilegio troppo grande. Ma ho preso coraggio pensando al tuo consiglio: “Siate sinceri e semplici, questo è l’essenziale”. Consiglio che porterò sempre con me ogni volta che mi troverò davanti a un foglio con la penna in mano.

Grazie infinitamente MAESTRO!

Adela

“Mamma, vorrei essere libero”

Cari lettori, oggi con grande piacere ed emozione lascerò “la parola” a mio figlio, Antonio, di otto anni e mezzo. Credo che il suo messaggio può essere utile a tanti in quanto rappresenta la voce dei bambini, e a noi adulti può indurci a riflettere.

In un momento di nervosismo durante i compiti per il lunedì, mi dice: “Mamma, dammi un quaderno che voglio scrivere.”

Questo è il racconto che ne è venuto fuori…

Quando mi ha chiesto di leggere questi suoi pensieri era tornato ad un tratto sereno ed era pronto a reimmergersi nello studio. Dopo aver letto il suo racconto gli ho sorriso e mi sono complimentata con lui. Mentre tenevo fra le mani il suo quaderno ho capito che quel gesto tanto semplice e spesso naturale, come la scrittura, lo aveva aiutato a tradurre in parole il suo stato d’animo. Lo aveva aiutato a capirsi, a esprimersi e prendendo una certa distanza, a vedere più chiaro la situazione che l’aveva irritato. A volte basta davvero poco!

Qualcuno che ti aiuti, Detachment (Il Film)

Per l’ennesima volta il Cinema viene in soccorso della Letteratura. Due linguaggi diversi, ma ugualmente potenti ed universali. Il primo più diretto e immediato tenta sempre di aprire un varco per raggiungere l’immensa dimensione dell’altro.

La figura dell’insegnante appassionato, che cerca di trovare le parole giuste per avvicinarsi ai suoi studenti, quelle che le darebbero l’accesso a quel mondo ermetico e così tormentato dell’adolescenza. Impossibile non confrontarlo con “L’attimo fuggente”. Due film che mettono al centro i ragazzi, il loro mondo, i loro sogni, le loro paure, le loro speranze, davanti a una società fredda, indifferente, chiusa e crudele.

Gli anni sono passati, ma la difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo non è cambiata. Quella che ci fa vedere “Detachment” è la storia dolorosa dei nostri tempi. Ci troviamo davanti allo specchio che ci mostra il fuori e il dentro di noi, con l’intento di indurci a riflettere su come siamo ridotti. Il regista lo fa in termini forti e immagini dure, rappresentando la realtà per com’è, nuda e cruda, grazie anche alle riprese che assomigliano più a un documentario che a un film.

“Bisognerebbe avere dei requisiti,

un curriculum serio e un manuale per fare i genitori,

e seguirne costantemente le istruzioni”.

Un’interpretazione magistrale, profonda ed emozionante, quella di Adrien Brody, capace di bucare lo schermo ed arrivare dritto a noi come una ventata d’aria fresca. Nel ruolo di Prof. Barthes, insegnante supplente di letteratura in un liceo di periferia, attraverso il dramma della sua vita, pone l’accento su tematiche importanti e forti come l’abuso e il trauma infantile, la genitorialità, la maturazione, l’amore, l’adolescenza, la crisi della scuola, la depressione e il suicidio giovanile, la prostituzione minorile, le malattie sessualmente trasmissibili. Problematiche profonde e sanguinanti della nostra società, delle quali spesso per omertà non si ha il coraggio di parlarne.

Lui non ha risposte certe e rassicuranti per i suoi ragazzi. L’unico modo che conosce per non diventare schiavi delle idee malate che da tutte le parti ci riversano ogni giorno, è quello di rendersi liberi attraverso la lettura.

“L’unico modo per sopravvivere è poter

preservare la nostra mente”.

Ci fa capire come sia difficile essere un insegnante oggi, quando ci si sente schiacciati dal peso della responsabilità che la famiglia e la società attribuisce a questa figura. A come si è soli a dover guidare e incoraggiare i ragazzi che si stanno per affacciarsi alla vita, non con entusiasmo ed ottimismo, bensì con il sentimento che più contraddistingue la loro età, la rabbia.

“Non basta avere qualcuno che ti insegni,

ci vuole qualcuno che ti aiuti!”

Il film si apre con una citazione di Albert Camus e si chiude con la lettura di un brano del racconto “La caduta della casa degli Usher”, di Edgar Allan Poe, come se si cercasse di trattenere in un abbraccio la vita che si dibatte a squarciagola sotto quel peso che ci schiaccia il petto.

Chi sa se ancora una volta la Letteratura riuscirà a salvarci dal caos in cui viviamo?

Insegnare, che passione!

Da sempre ho sentito dentro di me la vocazione di insegnare, di trasmettere qualcosa di importante e di utile ai più giovani. Per molto tempo ho aspettato che fossero gli altri ad offrirmi la possibilità di entrare nel meraviglioso mondo dell’Insegnamento. Inconsapevolmente ho perso tanto tempo aspettando invano. Poi ho finalmente capito che se si vuole davvero una cosa nella vita, c’è un solo modo per ottenerla: rimboccarsi le maniche e impegnarsi ogni giorno. E’ questo che con tanta determinazione ho fatto e che continuo a fare, perché un buon insegnante non smette mai di imparare.

Attraverso i libri e lo studio ho ritrovato la mia passione più grande, quella che avevo scoperto da bambina, la Letteratura, ed è stato bellissimo rincontrarsi. Gradualmente è stata lei ad indicarmi la strada. E così con ancora più sete ed entusiasmo mi sono immersa tra le sue pagine e per la prima volta nella vita ho capito che quello che più amo fare è parlare di Letteratura. Più di tutto vorrei avvicinare i giovani, gli adolescenti, a questo magico mondo, per fargli scoprire l’immensa ricchezza artistica e umana, che i grandi scrittori ci hanno lasciato tra le pagine delle loro opere.

Questo breve articolo semplicemente per dirvi che ‘esisto’ e che sono qui per chiunque avesse bisogno e soprattutto voglia di intraprendere questo viaggio bellissimo alla scoperta della Letteratura.

In giro per il Mondo attraverso la Letteratura

Corso online (per ragazzi 14-19 anni)

Video introduttivo


Struttura del corso

  • 5 Paesi da visitare
  • Per ogni paese studieremo 3 autori, a cui sarà dedicato un incontro con una delle sue opere più rappresentative
  • Durata dell’incontro 1h30, tariffa €23,00
  • Corso in piccoli gruppi (max 7 iscritti), tramite piattaforma Google Meet
  • Gli incontri si terranno ogni 3 settimane
  • I nomi degli autori e le opere verranno svelate gradualmente durante il corso.


ISCRIZIONE AL CORSO

  • Primo incontro conoscitivo e “Introduzione al corsogratuito. Durata 1h
*IL CORSO E' ATTIVABILE TUTTO L'ANNO