Traduzione EN > IT, Un frammento dal libro di Dr. Daniel N. Stern DIARY OF A BABY

Diary of a Baby è un libro che racconta l’esperienze psicologiche di un bimbo dall’età di sei settimane fino ai quattro anni. Ogni capitolo si apre con una riflessione quasi “poetica” direi attribuita ai pensieri del bambino, a come lui vede il mondo, per proseguire con una vera e propria analisi psicologica data dal suo autore Dr. Stern.

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Un Viaggio, 10.30 del mattino

Joey si trova con la madre nella grande sala d’attesa di una stazione ferroviaria. Dopo un po inizia ad allontanarsi da lei, incontra un’altra bimba, si perde, si spaventa e alla fine trova di nuovo la madre. Lei lo prende tra le braccia e lo calma.

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Ci troviamo in un’ampio spazio strano. La mamma è l’unico punto di riferimento da tutte le direzioni. La riconosco a memoria, ma voglio vedere cosa c’è intorno a noi. Inizio a girare sempre più lontano da lei. Rimango in contatto con lei attraverso il tatto, il profumo, la memoria, senza guardarla. Seguo il suo profilo per avere vedute diverse verso l’esterno. Sento essere chiamato dolcemente sempre più lontano da lei. Ma mi trattengo tra le sue sponde creando una “mappa mentale” in cui la sua figura si trova proprio nel centro. L’attrazione verso l’esterno cresce. Mi sento pronto ad interrompere il contatto con lei. Mi immergo in uno spazio libero. All’inizio, questa sensazione mi toglie il fiato. Galleggio, ondeggiando liberamente. Poi posso respirare di nuovo. Mi giro per guardare lei dall’altra parte del golfo prima di iniziare a muovermi. Lentamente mi allontano. Ma tuttavia mi muovo vicino a lei. Quando mi giro per guardarla dall’altra parte del golfo, lei è la stella che io fisso. Anche quando non la guardo, mi manda delle linee di forza ondeggianti che sfociano nello spazio. Posso muovermi lungo il suo raggio d’azione. Adesso mi trovo molto più lontano nello spazio, avanzando facilmente. Disegno la mia scia. Equilibro le mie forze per fermarmi. Sono io stesso a comandare ed azionare le partenze. Guido i miei stessi movimenti. Dopo mi sfuggono dal controllo e sono loro a guidare me. Facciamo a turno a comandare tra me e i miei movimenti. Ma ogni volta che mi muovo, la mia stella visibile e le onde invisibili mi tengono fisso nel mio girovagare.            Mi avvicino alle persone e giro intorno a loro. Loro deformano lo spazio come fa la mamma, ma nella direzione opposta. Mandano nell’aria linee di forza ondeggianti invisibili che mi tengono alla distanza e mi guidano intorno a loro. Scivolo davanti a loro nemmeno senza sfiorarli.                                          Adesso vedo qualcosa di diverso. Un’altra bimba – una come me – sta girovagando. Lei ha la stessa vivacità che sento anch’io. Ma lei non deforma per niente lo spazio, non c’è nessuna respinta. Sono libero di avvicinarmi, di esplorare e di toccare. All’improvviso qualcuno la solleva e la porta via.           D’un tratto mi sento perso. Non riesco più a trovare la stella della Mamma, e le sue linee di forza si sono indebolite. Lo spazio diventa sempre più grande. Diventa infinito. Niente mi trattiene. Mi sto sciogliendo come i granelli di sale nell’oceano dello spazio. Sono nel panico. 

La chiamo. Lei è da qualche parte vicino a me, ma non la vedo. Sento vagamente essere sollevato, ma non posso toccarla. Di nuovo, emetto un grido, cercando ciecamente di aggrapparmi ad una delle sue invisibili linee di forza. Le mie grida vengono afferrate. Sento e percepisco la sua risposta in lontananza. Il suo richiamo è come il suono di un martello su un blocco di ghiaccio. Il colpo sparge intorno pezzetti bianchi che sembrano di pizzo, le cui faglie e  piani  ricompongono lo spazio. In questo modo, il mondo viene trasformato dalla sua voce. Usando il modello di questa nuova mappa, posso trovare la mia strada di ritorno al punto del suono del martello, dalla sua voce, da lei.

Di nuovo insieme a lei, al punto sicuro, il panico scivola lungo la pelle del mio petto e del mio collo. La sensazione di calma inizia in superficie per scivolare dentro. Sulla scia della calma, ritrovo me stesso. Il richiamo della sua presenza mi tira fuori dallo spazio. Provo di nuovo la separazione lungo le linee del suo tocco. Sento la calma avvolgermi. Ma presto mi rendo conto, un’altra volta, dei grandi spazi che ci circondano. Vagamente, sento che mi chiamano in avanti ancora.

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* Testo originale:

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Traduzione ES > IT Articolo di cultura dal quotidiano spagnolo El País

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Toronto, supermercato dell’Oscar

La 39ª edizione del festival canadese conta 285 lungometraggi in 11 giorni di proiezioni, un eccesso cinematografico al quale partecipano 400.000 spettatori, 300 registi e 200 star

Il cinema da sempre si muove su questo filo sottile che separa l’arte da un brutto declino nel vuoto del commercio. La situazione sembra però accentuarsi nell’occasione dell’appuntamento annuale dell’industria del Festival Internazionale del Cinema di Toronto. Tradotta in numeri, la 39ª edizione del festival canadese che si concluderà il 14 settembre conta 285 lungometraggi in 11 giorni di proiezioni, un eccesso cinematografico al quale partecipano intorno ai 400.000 spettatori, 300 registi e 200 star del cinema, oltre ai mille giornalisti e dirigenti di Hollywood. Chiunque faccia parte dell’industria statunitense del cinema deve esserci a Toronto, specialmente se ha qualcosa da vendere o da comprare. Che sia un film in cerca di distribuzione o un attore in cerca di un oscar, nel supermercato cinematografico di Toronto si può trovare di tutto, per tutti i gusti.

American beauty (1999) fu il primo film che associò il suo successo agli Oscar con suo debutto a Toronto. Dopo sarebbe stata la volta di tanti altri come  Non è un paese per vecchi, The Millionaire, The Hurt Locker, Il discorso del re, L’artista, Argo e così via fino ad arrivare  a 12 anni schiavo. Tutti questi film presentati a Toronto, festival che utilizzarono come piattaforma nelle loro campagne pubblicitarie. Una leggenda ben narrata anche se non necessariamente corretta. Con una programmazione di circa trecento film, sarebbe molto difficile che il prossimo vincitore dell’Oscar non si trovasse a Toronto. “Il festival è uscito di senno. Devono smettere di programmare così tanti film poiché la situazione gli sta sfuggendo dalle mani”, affermò ai giornalisti l’addetto alle pubbliche relazioni Martin Marquet, l’incaricato di uno dei contendenti più commentati di questa edizione, Miss Julie, con protagonisti Jessica Chastain e Colin Farrel sotto la regia di Liv Ullmann.

Ci sono titoli per tutti i gusti. Tutto vale in questo festival dove il criterio di selezione è vasto e l’unico premio concesso è quello del pubblico. Preferite un film d’azione? Ci pensa Denzel Washington con The equalizer – Il vendicatore. Amore per l’arte? Il migliore è la passeggiata pittorica di Mr. Turner, già vincitore a Cannes del premio per il miglior attore dato a Timothy Spall. Registi locali? Il canadese Jason Reitman partecipa per la seconda volta consecutiva con il suo ultimo lavoro, il dramma generazionale Men, Women and Children, presentato al teatro Reyrson di Toronto. Ci sono anche opere di esordio come quella che presenta l’umorista Jon Stewart, il film-documentario politico Rosewater, che ha come protagonista l’attore Gael García Bernal. E’ facile trovare anche nuove tendenze. Film centrati sulla vita di persone senzatetto come è il caso di Time out of Mind  o di Shelter. Oppure di attrici senza trucco in cerca di un dramma importante che dia una svolta alla loro carriera. E’ il caso di Jennifer Aniston in Cake e di Reese Witherspoon in Wild. Partecipano al festival anche vecchie glorie disposte a rinascere a costo di pagare dalla propria tasca come il caso di Kevin Costner e del suo film autofinanziato Black & white. Film biografici come La teoria del tutto – dedicato a Stephen Hawking – o The Imitation Game – centrato sulla vita del matematico Alan Turing – che hanno collocato i loro protagonisti Eddie Redmayne e Benedict Cumberbatch  tra i primi contendenti all’Oscar. Ci sono inoltre tanti attori nei panni di registi come Ullman, Stewart, Chris Evans, Chris Rock, Alan Rickman o James Franco.

Tra questo miscuglio di cinema, dove giornalmente vengono proiettai in media cento film, l’unica difficoltà è trovare “l’ago nel pagliaio”, individuare il lungometraggio che il prossimo febbraio si impossesserà del grande Oscar. E a quanto pare è l’unico premio che conta. “E’ diventato così massivo che inizia a non aver più senso partecipare poiché è impossibile distinguersi dal resto”, svelò al quotidiano uno delle pubbliche relazioni più stimati nell’industria del cinema, Toni Angelotti, che quest’anno preferì rimanere a casa.

L’unico a sapersi vincitore nonostante la statua sia lontana è Bill Murray. Il tanto amato comico statunitense presenta oggi il suo nuovo film, St. Vincent, che dal titolo suona come qualcosa di già visto: un uomo brontolone  al quale cambia la vita il figlio di una coppia divorziata che si trasferisce nella casa accanto alla sua. La qualità del suo lavoro resta da vedere, ma il riconoscimento per la sua carriera è già nel programma del Festival che ha reso il 5 settembre il Giorno Bill Murray. Una celebrazione che si svolgerà con la presenza dell’attore durante la serata della prima di St. Vincent seguito da tre proiezioni gratuite dei suoi classici, Ricomincio da capo, Stripes – Un plotone di svitati Ghostbusters – Acchiappafantasmi. Una celebrazione così ben accolta che a causa di un errore nel sistema della biglietteria del festival fece si che si vendessero più biglietti rispetto ai posti disponibili per la serata.

* Fonte articolo originale:  http://cultura.elpais.com/cultura/2014/09/05/actualidad/1409930862_128735.html , de Rocío Ayuso

P.s. A proposito di film presentati al festival di Toronto vi consiglierei Miss Julie per chi come me si ritiene “un’inguaribile romantica” :)!  In seguito il Trailer http://youtu.be/07FyKDYidNM

Traduzione EN > IT Articolo preso dal sito della BBC News

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Cavalcando tra le valli del nuovo Kosovo

Le case erano tutte vuote. Mentre la nostra auto sferragliava intorno alle curve sempre più vertiginose attraverso le Montagne di Sharr nel sud del Kosovo, il nostro autista ci indicò i villaggi vicini, ognuno dei quali sembrava un ammasso casuale di case che punteggiavano sulla landa di colore marrone rossiccio. Non ci abita nessuno, ci disse. I residenti, mi ha raccontato, se ne sono andati per la stagione, vanno a lavorare come immigranti in Germania, paese dove vive la maggior parte della diaspora Kosovara fuori dai Balcani. La pastorizia, il modo più consueto di vivere nelle Montagne di Sharr, difficilmente è redditizia; tanti membri del gruppo etnico della regione chiamato Gorani, il quale nome deriva dallo slavo che significa “montanari”, adesso stanno cercando una vita più stabile altrove. Tra questi villaggi fantasma, pochi vanno avanti. Uno di quelli è Brod, situato a 45 km al sud della seconda città più grande del Kosovo, Prizren. Con case cigolanti del periodo ottomano e strade acciottolate, Brod è stato il più affermato per avere sviluppato una economia di turismo modesta, accogliendo viaggiatori che sono venuti, come me, in cerca di autentica cultura Gorani negli altipiani più remoti del Kosovo. Con solo duemila abitanti, ospita l’unico albergo della regione, Hotel Arxhena. Negli ultimi anni, il Programma per lo Sviluppo degli Stati Uniti ha lavorato insieme alla gente del posto per creare degli itinerari ufficiali di escursionismo intorno al villaggio. Tuttavia, come presto scoprì, il metodo preferito per visitare il posto è a cavallo. Circondata da ruscelli e da praterie prosciugate dal sole, Brod è una delle cittadine più pittoresche della regione. Quando arrivai, ad accogliermi furono le case imbiancate che pendevano in bilico sui ciottoli; l’aria di settembre diventava fredda tra i vicoli. Le pecore fiutavano l’erba lunga; i cavalli frignavano: i scarabei balzavano dove le pietre si spaccavano dal sole.

La reputazione del Kosovo negli ultimi decenni è stata per la guerra, non per la tranquillità. La Guerra del Kosovo del 1998-1999, la quale si è conclusa con l’indipendenza del Kosovo dalla Serbia, ha lasciato i suoi segni. Fare escursionismo in diverse zone del Kosovo richiede ancora una guida esperta per evitare l’ubicazione delle mine terrestre inesplose. Così come i paesi costieri dei Balcani, Croazia e Montenegro, i quali hanno sviluppato infrastrutture per i turisti nei decenni in seguito alla pace, anche Kosovo sta iniziando ad accogliere visitatori. I 272 km dell’autostrada che collega Milot (Albania) con Pristina, la capitale del Kosovo, passando da Prizren, terminata nel 2013, ha reso il sud del Kosovo più accessibile ai visitatori. L’imminente costruzione di un’altra strada importante, che percorre una distanza di 60 km tra Skopje (Macedonia) e Pristina, si prevede di portare ancora di più. Tuttavia, l’infrastruttura a Brod è decisamente molto più modesta di quella dei suoi vicini Balcanici. Per trovare una sistemazione per noi, al nostro autista bastava sporgersi dal finestrino e gridare ai girovaganti locali che eravamo in cerca di una stanza. Presto scoprimmo che – come tutti a Brod sapevano – gli ospiti arrivati dovevano chiedere di un uomo chiamato Bilygaip Zilje. Qualche anno fa, Zilje aveva ereditato una seconda casa malridotta al margine del villaggio, che l’ha trasformata nell’unico albergo del centro di Brod. I suoi 10 letti sono più che sufficienti per i pochi visitatori che arrivano. Li sono bastati solo cinque minuti a Zilje per raggiungerci e imbarcarci nelle viuzze non segnalate di Brod. Abbiamo negoziato in un russo stentato – nonostante la maggior parte della popolazione del Kosovo parlasse albanese, la lingua Gorani invece fa parte della famiglia delle lingue slave – infine concordammo per la cifra di 10 euro per un letto. E ovviamente dovevamo avere anche i cavalli. Ci sono più cavalli che macchine a Brod, era scritto sulla mia guida Bradt. In realtà da uno sguardo veloce nelle strade, sembrava che erano più i cavalli che le persone. L’unico modo per visitare i canyon e i precipizi che circondavano il villaggio, disse Zilje, era su un cavallo. Per 10 euro potevamo avere un cavallo, e per 20 euro in più una guida. Non appena trovammo un’accordo sul prezzo la guida è apparsa. Un ragazzino sorridente di circa 10 anni, la quale padronanza di inglese si limitava a qualche canzone e di un “buon giorno” tardivo. Mi ha fatto salire su un cavallo con una vecchia sella, sistemando a sua volta se stesso su un altro. Un puledro fulvo scorrazzava libero al nostro fianco, mordicchiando la criniera del mio cavallo. Dopo ci siamo allontanati.

Abbiamo cavalcato in mezzo ai ruscelli  e su sentieri così stretti e ripidi che più volte ho avuto l’impressione che il mio cavallo stava per rotolarsi sulle rocce sotto di noi. Presto i villaggi scomparirono, lasciando il posto ai pascoli e ad una vasta area coperta di sassi. Le nuvole stendevano ombre dalla parte del precipizio. Il puledro ci seguì, ricordandoci ogni tanto della sua presenza attraverso un calcio giocoso sul fianco del mio cavallo. I montoni ci fissavano mentre passavamo nel nostro cammino verso sud, lungo il burrone di Brod, verso il confine con la Macedonia. Il ragazzo accelerò. Il mio cavallo si ribellò al galoppo. Il puledro prese questa reazione come una sfida: provocando mio cavallo in una gara intensa. La mia esperienza con i cavalli nordamericani – un gruppo del tutto più docile – non mi aveva preparato a questo. Quando siamo arrivati alla fine della valle, ero aggrappata alla criniera del mio cavallo, con gridi opprimenti. Il ragazzo si girò verso di me e frenò bruscamente vicino a un torrente. Calmò il mio cavallo, dando al puledro agitato uno schiaffo esasperato sul muso. Io smontai e iniziai a mangiare il mio pranzo – pomodori maturi e formaggio fresco – in una zona adatta e sicura. C’era un gruppo di uomini anziani seduti fuori da una baracca vicino al ruscello, affiancati da altri due ragazzi più giovani che indossavano mantelli fatti di pelle di pecora. Si sono offerti, in un tedesco ponderato – una seconda lingua per tanti emigranti tornati – di aiutarmi a risalire sul cavallo. Dopotutto c’era ancora tanto da vedere. Puntai disperatamente il cavallo. “Schnell”, ho pronunciato per dirli di andare più veloce. I bambini scoppiarono in una risata isterica. Evidentemente l’equitazione non era molto comune qui. Gli uomini anziani mi aiutarono a salire sul mio cavallo, trattenendo a loro volta la risata. “Schnell!” La loro risata fragorosa risuonò dall’altra parte del canyon mentre io e la mia guida cavalcammo per 5 km tornando verso Brod.

La cittadina di Brod, ho scoperto, si sta preparando però ad accogliere visitatori più esigenti per il prossimo futuro. A 3 km di distanza da Brod c’è il percorso alpino di Hotel Arxhena, un villaggio turistico inspiegabilmente lussuoso in stile villetta in mezzo ai due precipizi nel burrone. Quando mi fermai vicino, i lavoratori stavano mettendo le fondamenta per un nuovo campo da tennis. Foto promozionali all’ingresso mostravano gruppi di persone facendo escursionismo, equitazione e arrampicata. Pavoni bianchi – difficilmente del posto – giravano intorno, beccando nella segatura. Quando ho sbirciato dentro, un cameriere simpatico mi offrì un cappuccino e mi diede la password per la connessione wifi. Notizie di un tale sviluppo, tuttavia, non avevano ancora raggiunto il centro di Brod. La mattina seguente, dopo avermi gustato quel tipo di torta salata appena fatta chiamata burek, sono andata in cerca di caffè. Ho trovato al secondo piano di una casa di campagna, appeso sulla porta aperta l’unica indicazione di attiva commerciale al suo interno. Mi ci è voluto qualche minuto per essere sicura di non trovarmi sul salotto di qualcuno. Diversi signori anziani in bretelle sono seduti intorno al perimetro della stanza, guardando il notiziario di una gara a tre-gambe organizzata a Belgrado. Mi offrono caffè turco e seduti l’uno accanto l’altro senza guardarsi, interrompevano il silenzio con brontolii sporadici. Fuori, la mia guida sta caricando coperte su una cavalla. “Good morning”, canta lui. “Good morning, good morning, good morning.”

‘Good Morning’ — Singin’ in the Rain (1952)   http://youtu.be/GB2yiIoEtXw

* Fonte articolo originale:  http://www.bbc.com/travel/feature/20140828-shepherding-in-the-new-kosovo , By Tara Isabella Burton